L’altra faccia del Networking

Quando si parla di personal branding e di tutti gli strumenti necessari per propagare al meglio il tuo valore di marca, un elemento sempre citato è il networking.

Fare networking vuol dire “creare relazioni”. Allacciare contatti con altre persone in modo da creare una rete (net) di relazioni professionali (working) da mantenere nel tempo. Ma lo avrai sentito mille volte quindi non mi dilungo.

La finalità del networking non è trovare lavoro. Non è firmare un contratto in più. I nodi della tua rete non sono clienti. Sono elementi che possono trasformarsi in opportunità di crescita. Culturale, sociale e qualche volta anche economica.

Dal ‘win-win’ al ‘give-give’

Alla base di un sano processo di networking deve esserci fiducia e sincerità reciproca. Deve esserci la disponibilità a “donarsi” in maniera disinteressata, con l’unica speranza di poter ricevere lo stesso trattamento dagli elementi che compongono la tua rete. Mi piace pensare in ottica di “give, give” (doni tu, dono io) piuttosto che nell’ormai famosa (ed un po’ triste) “win-win” (vinci tu, vinco io), dove il raggiungimento di un risultato positivo per entrambi sembra essere l’unica ragione valida per mettere in piedi una collaborazione.

Il “donare” incondizionato è più bello. Ma deve essere bilaterale. Solo così si potranno raggiungere gli obiettivi programmati e dare un senso al networking.

E qui casca l’asino.

Ultimamente ho dovuto constatare che dietro il nome ‘networking’ possono celarsi grandissime delusioni.

Mi servi o non mi servi?

Le persone (o per meglio dire la maggior parte di esse) non sono disposte a donarsi disinteressatamente. Non sono propense a mettere da parte il proprio ego. Mal digeriscono i compromessi (parte spesso fondamentale in un sano processo collaborativo) e, cosa più grave, tendono ad incasellarti secondo fastidiosi criteri di utilità.

La loro domanda di partenza è: “Quanto può servirmi questa persona?”. Un quesito che non tiene minimamente conto della parte più vera del networking. Non considera, infatti, quanto si possa risultare utili all’altro. Che è ben più importante e gratificante. Ma tant’è…

Dopo essere incappato in personaggi strani (ancora oggi a piede libero nei social) che usano il networking esclusivamente per il proprio tornaconto personale, ho deciso di cambiare atteggiamento. Ho scelto di adottare un nuovo modo di relazionarmi alle persone che tenti di evitare l’altra faccia del networking: l’opportunismo.

Cogli i segnali

Dice bene Valentina Carbonera, amica e preparatissima career coach, quando sostiene che i segnali nelle relazioni e quindi anche nel networking, vanno sempre ascoltati.

Se quando inizi ad instaurare un rapporto professionale senti una vocina nella testa che ti dice “questo atteggiamento non mi piace” non ignorarla. Se un determinato comportamento ti insospettisce o risulta decisamente contrario al tuo modo di fare, non lasciar correre. Chiarisci subito le cose con il tuo interlocutore. Non tenerti tutto dentro per la paura di risultare antipatico, scortese o semplicemente per evitare di perdere l’opportunità del momento.

Parla. Chiedi spiegazioni. Non alimentare un qualcosa che, prima o poi, crollerà rovinosamente come un grosso castello di carte in una giornata di vento.

Se i segnali diventano diversi (la mia soglia è ora bassissima) chiudi il rapporto. Non pensarci due volte.

Tieniti il contatto e relegalo a semplice numerino nella tua lista di collegamenti social. Gli avrai già dato più di quanto meriti realmente.


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